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Il restauro di un capolavoro
marzo 30, 2017

Parlare di Cividale, per noi, è un po’ come parlare di casa, di cose che conosciamo da sempre, del nostro “imprinting culturale”:

perché il Tempietto Longobardo è forse il primo luogo d’arte (insieme ad Aquileia) visitato da entrambe ed è quindi uno di quei posti che hanno influito sulla nostra formazione e nella passione verso l’arte e l’architettura.
Un manufatto carico di storia e particolare, a partire dal suo nome, infatti viene chiamato Tempietto anche se un tempio non era, e longobardo anche se non furono i Longobardi a costruirlo.
Non potevamo quindi perdere un’occasione unica e rara: poter visitare il cantiere di restauro, che sta interessando in questi mesi il sito (a cura del Ministero dei Beni Culturali, della Sopraintendenza e del Comune di Cividale del Friuli) degli scranni lignei, che dal 1300 adornano questa sala.
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Il Tempietto Longobardo nasce come Cappella Palatina,
una cappella privata del Gastaldo della Contea, intorno al 760 d.C., alla fine quindi della dominazione longobarda, ma la successiva costruzione e annessione, al monastero di S.Maria in Valle, lo trasformò nell’oratorio, cioè la sede liturgica dove le religiose scandivano le loro giornate di clausura, recitando le preghiere.
Il coro ligneo venne inserito nel Tempietto durante la reggenza della badessa Margherita della Torre, come dimostra lo stemma nobiliare intarsiato, intorno al 1384, ad opera di mastri maniscalchi venuti probabilmente da Venezia.
La gerarchia che vigeva tra le monache è ben rappresentata nella formazione dell’aula: all’ingresso sul lato minore, ci sono due scranni maggiori, più grandi e riccamente decorati, destinati alla Badessa e alla Reggente, poi esiste un primo ordine di 18 posti per le monache più anziane e un secondo ordine, più in basso e più semplice, con 16 posti, per le novizie.
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Il convento era benedettino e prevedeva la permanenza a vita, dopo l’assegnazione al monastero, della monaca: questo facilitava le donazioni e gli investimenti, da parte delle famiglie di origine delle religiose, anche in abbellimenti e opere d’arte.
Una vita molto dura per queste ragazze, il più delle volte imposta, scandita dalla preghiera e dall’isolamento.
Particolarmente toccante è stato quindi poter scorgere i segni lasciati dalle monache,
non solo dall’usura, dovuta alle mani e ai gomiti, ma anche piccoli segni e lettere, incisi con le unghie, durante le lunghe ore di preghiera; queste venivano recitate per lo più in piedi, ma mentre le monache più anziane potevano sorreggersi e appoggiarsi allo schienale, alle novizie tale comodità non era concessa.
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Una vera emozione quindi, poter ammirare da vicino e nei particolari, questa opera: difficile descrivere la bravura di questi artigiani che utilizzarono quattro essenze lignee, per le diverse parti che compongono il coro, decorandolo con forme, intagli e pigmenti.
La scoperta più sconcertante per i tecnici è stata la certezza che i colori originali erano molto vividi e ricchi. Purtroppo il tempo e i restauri, anche i più recenti, hanno cancellato gran parte di questi colori, lasciandone solo deboli tracce, che permettono però di immaginare la magnificenza cromatica.
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È la prima volta che il coro ligneo, dall’epoca della sua costruzione, esce dal Tempietto, infatti tutti gli interventi che ha subito, nel corso dei secoli, sono sempre stati fatti in loco.
Anche l’altro intervento conservativo molto importante, realizzato nel 1860, e che ha interessato la struttura portante con la quasi totale sostituzione della travatura che sorreggeva i pannelli decorati, venne fatta ad opera del Valentinis, sollevando parzialmente il tutto, all’interno del Tempietto.
È stato un lavoro lento e minuzioso:
i restauratori hanno impiegato due mesi per smontare le singole parti di questo capolavoro ligneo, difficoltà in gran parte dovute alle numerose chiodature, originali e successive, presenti; ora si sta procedendo con gli interventi di ripulitura e conservativi.
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Il restauro degli scranni è solo una parte dell’intervento complessivo, che interesserà tutto il Tempietto Longobardo e quindi anche le decorazioni e i magnifici stucchi: saranno anni molto impegnativi per gli studiosi e i restauratori, ma più difficili per noi visitatori.
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Dovremo pazientare almeno 3/4 anni per rivedere nella sua interezza questo capolavoro, ma le generazioni future potranno continuare ad ammirarlo nella sua magnificenza.

N. B.
Se anche voi non volete perdere questa occasione, le prossime visite (gratuite, ma a numero chiuso con obbligo di prenotazione), si potranno compiere solo nelle giornate del 3 e 21 aprile, del 5 e 15 maggio e del 5 e 19 giugno, per orari e modalità consultate il sito della Soprintendenza www.sabap.fvg.beniculturali.it

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    Siamo Giorgia&Nensi due appassionate di fotografia che casualmente si sono incrociate attraverso il social Instagram; poi, a dimostrazione che certi incontri non avvengono per caso, abbiamo scoperto una grandissima serie di affinità che ci hanno legato e reso naturalmente sistersxcaso.

    Foto: Elisa Piccaro.

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